Storia - Alla scoperta di Civitella Roveto

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Storia

                               candidati a Civitella Guides
Giovanni De Blasis                                     


E A CIVITELLA I BORBONICI LE SUONARONO AI GARIBALDINI.

Pochi giorni dopo la spedizione dei Mille ebbe luogo la battaglia delle Prata. Fu l’unico scontro in cui i lealisti riuscirono a battere le forze liberali.


L'alba del 6 ottobre di 150 anni fa annunciava una giornata bellissima: il cielo era limpido e si apprestava a sorgere un sole caldo e luminoso, come spesso la Valle Roveto sa mostrare in quella stagione. Circa 800 garibaldini di Giuseppe Fanelli erano giunti a Civitella Roveto due giorni prima e si erano accampati in località Prata. La sera del loro arrivo avevano ucciso Francesco Reale, un contadino del posto, non si sa bene per quale ragione (forse volevano rubargli qualche capo di bestiame) e ne avevano impedito la celebrazione del funerale per il timore di scontri con i paesani. Gli ufficiali invece avevano fatto le ore piccole, ballando fino a tarda notte nella piazzetta antistante al palazzo Ferrazzilli. Fanelli si era presentato alla festa con la classica camicia rossa e con il poncho e sfoggiava una folta barba nera, tanto che alcuni degli inconsapevoli paesani lo avevano scambiato addirittura per Garibaldi. La truppe nemiche, quelle che il re di Napoli Francesco II aveva spedito da Gaeta (dove si era rifugiato) in Abruzzo, si erano fermate in parte a Sora e in parte nel castello di Balsorano: avevano l'ordine di raggiungere la fortezza di Civitella del Tronto, dove resisteva ancora una forte guarnigione borbonica. Le guidava Teodoro Federico de Klitsche de La Grange, un vecchio barone prussiano che aveva acquisito con il tempo una buona reputazione militare, avendo combattuto da giovane anche contro Napoleone. La truppa dei Regi, così si chiamavano allora i soldati di Francesco II, era una brigata leggera, composta da circa 600 uomini, ed era provvista di due obici da montagna, che i locali chiamavano volgarmente sfrattamontagna. Alla squadra si erano unite le masse del brigante Chiavone e molti contadini della Valle Roveto, armati solo di arnesi campestri e di pali acuminati. Mentre il barone prussiano partiva la notte del 6 da Balsorano con la sua eterogenea truppa, il già male armato presidio garibaldino di Civitella Roveto si indeboliva ulteriormente per la partenza improvvisa di circa 200 guardie nazionali di Chieti e Lanciano, richiamate per errore ad Avezzano dal colonnello Pateras, comandante di tutte le forze nazionali lì concentrate.
Arrivato all'altezza di Rendinara, all'alba del 6 ottobre, il barone suddivise i suoi in tre colonne: una, quella più numerosa, avrebbe raggiunto i paesi pedemontani di Rendinara, Morino e Meta. Una mossa strategica vincente, in quanto permise al prussiano di attaccare i garibaldini su più fronti, anche se la massa di Chiavone non fece in tempo a partecipare all'azione e raggiunse Civitella Roveto a battaglia ormai terminata. I volontari garibaldini avevano preso posizione in località Piana e Prata, tra il Liri e la strada regia di fondovalle, i cui lavori di costruzione erano terminati da pochi anni, e in parte in mezzo a un folto bosco di castagni posto in corrispondenza dell'attuale cimitero. La battaglia iniziò intorno alle 10 del mattino, quando il sole era già abbastanza alto e la giornata era calda e luminosa. De la Grange, appena superata la cosiddetta curva di Mastrandrea, fece sparare da un'altura alcuni colpi di cannone sugli atterriti garibaldini, che invece erano sprovvisti di artiglieria. Poi ordinò alla fanteria di avanzare strisciando sul terreno: le loro baionette si vedevano scintillare al sole. Giunti a tiro di fucile, i napoletani incominciarono a far fuoco sui garibaldini, che risposero immediatamente. Da ambo le parti, mentre una squadra caricava le armi, un'altra faceva fuoco. La sparatoria procedeva già da qualche ora, quando il prussiano dette l'ordine dell'assalto alla baionetta.
I poveri garibaldini furono così investiti su due fronti: dai regi che procedevano a fondovalle e da quelli che scendevano di corsa dalle alture di Terra Giancorsa e Vigna Vecchia, in prossimità dell'attuale svincolo della superstrada. I garibaldini furono presi dallo smarrimento, sebbene fossero rincuorati con la voce e con l'esempio dal prode Fanelli che si batteva energicamente, anche se con qualche difficoltà a causa di una ferita riportata in un precedente combattimento in Molise. I garibaldini non ressero all'urto, si sbandarono e ripiegarono poco più a nord, dove cercarono di riorganizzarsi ma un secondo assalto alla baionetta li mise definitivamente in rotta. Lasciarono dispersi sul terreno morti, feriti, armi e perfino la loro farmacia di campagna. De la Grange li inseguì con alcune decine di gendarmi a cavallo e con i cannoni fino al cosiddetto Muraglione di Capistrello ma non se la sentì di andare oltre per non allontanarsi troppo dai rifornimenti e per permettere ai suoi uomini di riposare, stanchi com'erano per aver marciato tutta la notte. Alcuni dei feriti garibaldini trovarono riparo nel villaggio di Santa Croce, dove ricevettero le prime cure. Il resto della massa di de La Grange intanto aveva invaso Civitella Roveto e, con l'aiuto di un buon numero di paesani, aveva assaltato il corpo di guardia, incendiato una locanda e depredato le abitazioni dei pochi liberali del paese. Il pomeriggio di quel terribile giorno, alcuni abitanti del luogo uccisero e sottoposero a crudeli sevizie il giudice regio Federico Veneroso, forse per vecchi e non sopiti rancori. Rientrato dall'inseguimento, il barone prussiano si appartò in una casupola vicina al campo di battaglia e fece rapporto al suo Re sulla riportata vittoria. Diceva di aver subito perdite irrilevanti (solo due feriti, uno dei quali morì qualche giorno dopo), mentre l'intera perdita del nemico ammontava a oltre 100 morti, senza contare i feriti e i prigionieri, che fece trasportare a Sora. Tra i morti garibaldini il barone annoverava anche Fanelli e il canonico Paoletti di Celano, uno dei pochi preti liberali nella borbonica Marsica. Tali notizie non si rivelarono vere, come forse neppure quella inviata al ministro della Guerra dal Pateras, il quale riferiva di aver avuto tra i suoi solo 19 morti e molti feriti. Tutto ciò conferma il sempre attuale adagio che recita: "Quando inizia una guerra la prima vittima è sempre la verità. Quando la guerra finisce le bugie dei vinti sono smascherate, quelle dei vincitori diventano Storia”.


IL RAPPORTO

“Sire, abbiamo vinto”


La relazione del barone Klitsche de la Grange sull’esito della battaglia di Civitella Roveto conservata nell’Archivio di Stato di Napoli.



Civitella Roveto 6 ottobre ore 12                                                                                                                       
Alla Maestà del Re N.S.
Gaeta
                                                                                                                                                                                                                

Ho riportata vittoria sul nemico. E' vittoria piccola, ma dovrà produrre un gran effetto morale. E poi non ho potuto disporre che di mezzi ristrettissimi. Seppi jeri sul mezzo giorno che Bande rivoltose infestavano la valle del Liri da Balsorano in sopra. Sino dal giorno antecedente già avevo fatto occupare il Castello Baronale di Balsorano con circa 130 teste. Parti' jeri alle due pomeridiane con una colonna d’oltre sei cento teste da Sora e con una sezione d’artiglieria, nonché con un plotone di gendarmeria a cavallo, e riposando per tre ore a Balsorano attaccai questa mattina alle ore 7 vicino a Civitella Roveto il nemico, forte, come apprendo da Prigionieri, di circa mille teste. Egli s'era imboscato sulla riva sinistra del Liri, e alla destra della strada. Fui ricevuto con un fuoco vivissimo. Ma ne andavo preparato. L’ho sloggiato dalla forte sua posizione, di gran parte colla bajonetta, e l’ho inseguito fino a Capistrello. Più oltre m’era impossibile, perché il nemico si mostrò lesto di gambe, e la mia truppa era stanca e sfinita, per aver marciato per quasi tutta la notte. E’ brava gente, si’ Volontari Siciliani, che Gendarmeria Reale e Ausiliari. Meritano particolare encomio il capitano De Merich e il capitano D’Ajello. Con rara intrepidezza ha combattuto il 2° Tenente Guglielmo Borghese, come anche il 2° Tenente Monteaperto, e mio ajutante di campo, ponendosi a piedi alla testa di un numero considerabile di Volontari ne espugnò colla bajonetta una forte posizione il nemico.
Egli ha avuto forata la falda del soprabito da due palle. Ho perduto 5 morti e conto 4 feriti. La perdita del nemico importa 11 morti tra i quali due uffiziali e 16 prigionieri 5 de’ quali sono feriti. Anche un buon numero di fucili e di giberne mi sono caduti nelle mani. Inseguendo io colla gendarmeria a cavallo il nemico fino a Capistrello ne ho trovati  molti per la strada.
Circa 150 de' miei sono rimasti affatto fuor d'azione, per averli inviati sulla riva destra del Liri, per vedute strategiche, ove nulla però trovarono a fare. Apprendo da' prigionieri, che era intenzione delle bande d'ingrossarsi verso S. Germano, o verso Itri, per operare alle spalle del Reale Esercito. Ho poca forza, Sire, e ho deficienza di munizioni da guerra. Supplico la Sacra Reale Maestà V.ra voler per Sovrana Clemenza ordinar che si provveda all’una e all'altra.
Il battaglione di Marina mi sembra inutile a Isoletta, mentre io ne avrei di necessità urgentissima.
Baciando con religioso omaggio la Sacra e Augusta Mano mi protesto con fida sudditanza, Sire, della Sacra Reale Maestà V.ra umile servo e fedele suddito Barone de Klitsche de la Grange. Avezzano è tuttora occupato da circa 2000 uomini, come da esploratori mi viene riferito. Resto qui a Civitella, ove mi fortifico, e fo giungere un altro battaglione da Sora. Il popolo dei circonvicini luoghi mi sostiene.


 
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