L'antico ospedale - Alla scoperta di Civitella Roveto

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L'antico ospedale

Storia e archeologia
A Civitella Roveto, nel ‘600, come in altri paesi della valle, esisteva un piccolo ospedale, o ricovero, destinato ad accogliere i viandanti, gli ammalati ed i poveri bisognosi d’assistenza. L’ospedale era amministrato dal Comune e dipendeva dal vescovo, al quale erano soggette tutte le opere pie della diocesi.
L'ospedale fu visitato dal vescovo Marco Antonio Salomone il 22 novembre 1593. Lo stesso vescovo il 29 settembre 1600 raccomandò che le rendite dell’ospedale fossero amministrate con diligenza e fedeltà, e all'abate fu affidato il compito di controllare l’impiego delle entrate e i conti dei procuratori. Al tempo dell’abate don Giacomo De Sanctis (1591-1633) sorse una contestazione sull’amministrazione dei beni. Poiché la Curia di Sora aveva incaricato l'abate di assumere la gestione dei beni dell'ospedale, i massari del luogo chiesero la revoca di quel mandato perché era contrario alla consuetudine che dava al Comune il diritto di eleggere gli amministratori e l’ospedaliere. Dai fatti successivi si rileva però che la proposta non fu accolta. Dell’ospedale si prese particolare cura il vescovo Felice Tamburrelli. Durante la Visita pastorale del 22 ottobre 1639 egli ordinò, con la minaccia di 6 ducati di pena, che venissero eseguiti i lavori necessari per impedire le infiltrazioni d'acqua nel fabbricato. Lo stesso vescovo durante la Visita pastorale fatta il 23 giugno 1642, avendo constatato che nell’ospedale vi era un solo letto con lenzuola e coperte, ordinò che fossero preparati altri due letti. All’ospedale venivano assegnati allora dei beni: una vigna e tre appezzamenti di terreno, dai quali si ricavavano annualmente 3 coppe di mosto e 4 coppe di frumento. Il vescovo impose ai procuratori di rendere conto dell’amministrazione.

Altri importanti particolari sull’ospedale sono contenuti nella relazione per la visita pastorale fatta dal vescovo Maurizio Piccardi il 25 novembre 1663. Il pio luogo era intitolato a San Nicola di Bari, sorgeva presso la “Porta da Basso”, e sulla porta d’ingresso era dipinta l’immagine del Santo con quella di Santa Lucia. Ai viandanti e ai poveri erano destinati un letto a pianterreno e due al piano superiore. Mancava la cappella, e fu disposto che fosse allestita affinché potessero godere del diritto d’asilo coloro che erano ricercati dalla giustizia. Fu pure ordinato che contemporaneamente non fosse data ospitalità ad uomini e donne. Era allora custode Apollonio Serafino, e in quella circostanza l’amministrazione fu affidata all’abate don Nicola De Martina, al quale fu imposto di trasmettere in Curia entro quattro mesi l’inventario dei beni posseduti dall’ospedale. Don Domenico Lelli di Civitella il 7 agosto 1683 ottenne da Maria Vittoria Tomassi una dichiarazione scritta, rilasciata alla presenza di alcuni testimoni, con la quale egli era riconosciuto erede universale, con l'onere di provvedere ai funerali della donatrice e di celebrare delle messe in suo suffragio. Il 30 novembre dello stesso anno, Maria Vittoria Tomassi e il marito Giovanni Francesco Reale, espressero ai massari del luogo il desiderio di esercitare l’ufficio d’ospedalieri e di seppellire i morti, col diritto di abitare nell’ospedale. La Tomassi lasciava in cambio all’ospedale tutti i suoi beni, che comprendevano un terreno con casale e querce in contrada “Compre”, una vigna in località “Coste Tomassi”, un castagneto nel luogo detto “Intaccatori”, un prato, una casa in piazza, e inoltre grano, farina, un letto con lenzuola e coperte e vari utensili di cucina. Dopo la morte dei coniugi Tomassi e Reale, don Domenico Lelli s’impossessò di tutti i beni, ma il massaro Bartolomeo Dosi e gli altri massari addetti alla direzione della Comunità fecero appello al vescovo Tommaso Guzoni reclamando i beni dei coniugi, conforme al testamento, che aveva consentito ai due defunti di trarre beneficio dall'ospeda le “godendo tutte le franchigie, comodità e stipendi soliti a godersi dagli ospedalieri nell'esercizio delle loro mansioni”. I massari chiesero pure la restituzione di tutti i beni mobili che don Domenico Lelli aveva asportato dall’abitazione dei coniugi defunti. Essi sollecitavano pure dal vescovo il riconoscimento del loro legittimo diritto di procuratori dell'osp edale, e chiedevano di essere reintegrati nell'amministrazione. La vertenza si concluse con la sentenza emessa il 9 settembre 1685 dalla Corte episcopale di Sora. Con essa fu riconosciuto valido il testamento rilasciato a favore dell’Ospedale, e fu imposto a don Domenico Lelli di restituire tutti i beni entro due giorni, con la minaccia di 30 ducati di pena da assegnare ai luoghi pii. L'ospedale fu descritto dall'abate don Filauro Siciliani nella relazione inviata il 20 gennaio 1704, in preparazione alla visita pastorale del vescovo Matteo Gagliano. In esso continuavano a trovare alloggio i pellegrini e i poveri. I beni di proprietà del pio luogo erano dati in affitto dal Comune, e l'amministrazione era tenuta dai massari, che rendevano conto all'autorità ecclesiastica. Durante la Visita pastorale fatta dallo stesso vescovo il 29 maggio di quell'anno, fu ordinato di preparare nell'ospedale un letto per i sacerdoti di passaggio. Era allora procuratore incaricato dal comune Maurizio Lattanzio, al quale fu imposto con minaccia di scomunica di presentare in Curia il registro dell’amministrazione per la revisione dei conti. Nuove disposizioni furono impartite dal vescovo Matteo Gagliano durante la Visita pastorale del 10 maggio 1708. L’ospedale aveva bisogno di restauri al tetto e al pavimento, e doveva essere imbiancata tutta l’abitazione. Era pure necessario acquistare tre materassi. Fu rinnovata la disposizione di riservare ai sacerdoti di passaggio la stanza al piano superiore. Non dovevano essere accolti nel pio luogo i vagabondi, ma solo i pellegrini e i viandanti. Nella visita pastorale fatta il 21 novembre 1711 il vescovo Gagliano constatò che era stata restaurata la scala ed era stata imbiancata una stanza, ma non erano stati ancora acquistati un letto per i sacerdoti in viaggio e tre letti per gli altri ospiti. Era necessario restaurare il tetto per impedire le infiltrazioni d'acqua. Era allora procuratore Antonio Sauli, al quale fu raccomandato di ricevere i poveri d'ambo i sessi solo se erano coniugati.

Nelle visite pastorali successive e nei documenti dell'archivio vescovile riguardanti Civitella Roveto non si riscontrano altre notizie sull’ospedale. S'ignorano così il tempo e la causa della fine di quella pia istituzione, che si rendeva tanto utile soprattutto d’inverno, quando i viandanti in cammino lungo la vallata potevano trovare un posto sicuro per trascorrere la notte al riparo dalle intemperie.
 
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